Da “La fine del mondo storto”, di Mauro Corona (1°quaderno)

Questo libro può sembrare banale o catastrofista, qualcuno potrebbe dire anche scritto male e ripetitivo.
Ma è una potenza: leggendolo si comincia a guardare tutto con occhi diversi.
Si impara ad apprezzare anche una merda di vacca, sentendosi tragicamente ignoranti.
Non so nemmeno accendere il fuoco, vi rendete conto? Senza fiammiferi né niente, non so nemmeno accendere un fuoco! Solo a pensare quante abilità vitali siamo stati capaci di trascurare, c’è da svenire… 

Pag. 9
Mettiamo che un giorno il mondo si sveglia e scopre che sono finiti petrolio, carbone ed energia elettrica.

Pag. 12
Nei paesi di montagna il problema è abbastanza risolvibile. Nelle città invece il discorso cambia. E’ l’inverno. L’inverno freddo e umido delle città, con strade e piazze piene di nebbie e solitudini. Solitudini di uno alla volta, che messe insieme diventano una sola, quella di tutti.
In città si è sempre soli. Soli e arrabbiati, e ognuno è abituato a badare ai fatti propri, ma senza combustibili la gente è costretta ad andare d’accordo, a darsi una mano.

Pag. 13
Le case sono grandi per essere scaldate a stufa. Gli uomini sognano e costruiscono ville, castelli. Non hanno capito niente. La casa perfetta è quella dove, stando seduti e allungando le mani, si può raggiungere tutto ciò che serve. Se l’uomo non l’aveva ancora capito, adesso lo sa. Ci vuole sempre la disgrazia per aprire gli occhi alla gente. Scoprono che il caldo va verso l’alto e allora abbassano i soffitti. Li accorciano con quel che trovano.

Pag. 15
<< Fanculo >> dicono ancora, << si può dormir per terra, i letti non servono >>. […] Tutto quel che contiene un po’ di legno, anche la minima fibra, diventa materia da riscaldamento. […] Senza alcun rimpianto. Di fronte alla paura di crepare ghiacciati, non esistono rimorsi né remore.

Pag. 22
[…] non sanno accendere il fuoco. Nessuno glielo ha mai insegnato. Per fortuna c’è ancora qualche vecchio che ricorda come si fa.

Pag. 24
Adesso i fornai impastano a mano e distribuiscono pagnotte crude gratis. Che se ne fanno dei soldi?

Pag. 26
A Venezia si brucia tutto quel che galleggia. […] “Quando l’acqua toca el culo, se impara a nodàr”.

Pag. 27
[…] Hanno soldi a carriolate, mattoni d’oro nelle banche, case, palazzi, ville e piscine. E non se ne fanno nulla. Sono pure odiati. Il ricco è sempre odiato dai poveri e invidiato dai pari. In tempi normali, i ricchi se la passavano bene pagando. Compravano tutto con i soldi, anche l’amicizia.
[…] Il ricco-povero prova con un sacco pieno di banconote. << Quelli servono >>, dicono i poveri. << Servono a scaldare. Li butti sul fuoco e ti scaldi >>. […] Poveri e barboni, manovali e artigiani, e tutti quelli che nel tempo buono sapevano arrangiarsi con le mani, sono diventati i fari delle città.

Pag. 62
<< Ah, Dio benedetto, cosa abbiamo combinato, cosa abbiamo perso senza rendercene conto! >> dicono i superstiti << Abbiamo perso l’uso delle mani, dimenticato la sapienza, non sappiamo fare un orto, piantare patate, radicchio, prendere un tordo con il vischio. Cos’è il vischio? Non l’ho nemmeno mai sentito nominare. Ah, come siamo ridotti! […] >>.
“Colpa vostra” risponde Dio nelle coscienze dei rimasti vivi. “Vi avevo  dato tutto, terra, acqua, foreste, animali, pesci, aria buona. Ma volevate di più. Ogni giorno di più. Avete distrutto ogni metro di terra […]. E vi sarebbe avanzato tempo per godervi l’esistenza che è assai breve. Vi ho dato vita corta apposta. Avevo capito che sareste diventati coglioni. […] Se penso che la gran parte dei signori che hanno distrutto il mondo erano quelli che venivano a messa ogni domenica a ricevere la comunione, mi vien da prenderli a calci in culo. Ma non posso, ormai sono tutti morti, estinti, finiti all’inferno”. […]
Intanto, pregati dai cittadini come fossero santi, dalle campagne e dalle montagne arrivano i contadini.

Pag. 68
Adesso l’unica moneta da cumulare è un giorno sull’altro. Importante è arrivare a sera.

Pag. 69
Tutti coltivano lembi e strisce di terra e s’aiutano. Non occorre rubare niente, la gente divide, offre, scambia. C’è stato qualche caso, all’inizio, di giovani balordi che hanno minacciato un contadino con il coltello per rubargli un sacco di farina. Il contadino, consegnando loro il sacco, ha risposto: << Prendete pure, ragazzi, finché ce n’è, ma ricordate che una volta finita siete morti. Se invece imparate a coltivare il granturco e a pestarlo e a cavarne farina vi salvate. Posso insegnarvi a farlo, se volete >>. I giovani hanno gettato il coltello, sono rinsaviti, e hanno cominciato a faticare insieme al contadino.
[…] Balordi e bastian contrari crepano da soli. O si sta in gruppo e si collabora o si viene isolati e si va all’inferno.

Pag. 71
C’è un ex ministro dell’Agricoltura che si trova in difficoltà perché non sa da che parte impugnare la vanga.
[…] Il contadino insegnante li mette a infilare sementi nei buchi, ma per farlo devono inginocchiarsi sulla terra. Uno pensa: “Quando ero potente, l’unica cosa che mi faceva inginocchiare era Dio. Oggi, guarda un po’ come sono ridotto”. Era uno che andava a messa ogni domenica, e dopo, finita la cuccagna, era stato tra i primi a incenerire santi, crocefissi, e reliquie di legno per scaldarsi. Uno dei più accaniti.

Pag. 74
E il mondo è tornato come ai tempi della creazione, semplice e pulito. A Milano, per esempio, si rivedono le stelle. […] << La luna! C’è la luna qui da noi! >>.

Pag. 75
[…] ma quasi nessuno di loro sa falciare a mano. Qualche anziano lo sa fare e dà lezioni. Prima c’erano falciatrici, trattori, mostruosi rasaerba, chiamati decespugliatori. […] facevano un casino insopportabile ed inquinavano il terreno. […] Alla domenica, quando si poteva stare in pace e godere il silenzio dei monti, ecco che all’improvviso (rigorosamente dopo messa) partivano i casinisti del rasaerba. […] Alcuni di questi falciatori tendevano all’ingrasso. Perciò, due volte a settimana, andavano in palestra a fare addominali. Bastava adoperare le vecchie falci a mano e gli addominali sarebbero spuntati come funghi. […] In passato non vi era falciatore che non avesse vita sottile, spalle larghe e braccia di muscoli.

Pag. 80
Non c’è un filo d’immondizia per terra. Con la cenere dei fuochi ci si lava la faccia, si lava qualche straccio. Con gli escrementi secchi si accendono fuochi. Nemmeno la merda si butta.

Pag. 81
Per fare 100 km ci si mettono giorni. Ma non c’è fretta. Fretta non ce n’è più da tempo. In questo disastro planetario, in questa situazione limite, i sopravvissuti, spazzini e re, milionari caduti e miserabili sollevati, giusti ed empi, intelligenti e coglioni, scoprono d’aver recuperato un tesoro che non esisteva più da anni. Una ricchezza appartenuta forse ai loro trisavoli: LA LENTEZZA. […] I grandi manager d’un tempo hanno ritrovato una calma e una serenità neanche mai sognate. Sono diventati così limpidi che riescono perfino a sorridere. […] La gente rimasta va a dormire quando viene buio, si alza quando fa chiaro. Non esistono più orologi, né sveglie, né cellulari, né orario alcuno.

Pag. 83
Oro e gioielli e diamanti adesso hanno meno valore della spazzatura. Vale più un escremento di vacca per far fuoco o concimare la terra che cataste d’oro.

Pag. 86
Il po’ di corrente recuperata qua e là, da pannelli solari e pale eoliche, serve ai medici per curare qualcuno.

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